CISCO: da una terra di frontiera al nuovo disco "americano". L'intervista su MIE.
Ecco una delle sfacciate volte in cui non parliamo di emergenti. E quella che seguirà è davvero un’intervista importante.
Torna in scena la bellissima voce di STEFANO CISCO BELLOTTI, torna la canzone impegnata socialmente in un disco dal titolo emblematico di “INDIANI & COWBOY”
La redazione di MIE
Un vinile per celebrare al meglio la ritualità della musica che secondo CISCO è nel vinile che trova una importante via di rispetto. E sono canzoni scritte e volute diverse dal suo solito appeal irlandese: un disco nato e pensato nell’America di frontiera, ad Austin, dove la contaminazione tra popoli e culture diverse regala nuovo sangue e nuove idee.
Tra le canzoni anche importanti denunce sociali, crude e severe, come la splendida “SIETE TRISTI” o la dolcezza quasi irlandese (buon sangue non mente) de “L’ERBA CATTIVA”. La produzione portata avanti anche con RICK DEL CASTILLO restituisce a questo nuovo disco di CISCO il vero sangue della contaminazione. Un bellissimo ascolto…
L’erba cattiva, il videoclip ufficiale
L’intervista a CISCO
Benvenuto a CISCO in questo magazine che affronta maggiormente la canzone emergente. Ecco: da professionista di lungo corso non possiamo non aspettarci una predica che artisticamente ci hai dato con “Siete tristi”. Ma siamo davvero ridotti così?
Si. Ci siamo davvero ridotti così! Tutto questo perché non siamo più in grado di padroneggiare il mondo dei social, il mondo delle tante tecnologie che abbiamo a disposizione e siamo diventati un po’ marionette di tutto quello che ci accade attorno. Non siamo noi ad usare il mezzo ma è il mezzo ad usare noi.
Siamo tutti diventati tristi, tutti… me compreso, non mi tiro fuori da questa classificazione. Attenzione non dico che si stava meglio quando si stava peggio, indietro non si torna ne siamo tutti coscienti, anzi: si va avanti e chissà che in futuro non escano regole più stringenti e più educative che ci insegnino ad utilizzare meglio tutti i mezzi che oggi abbiamo attorno. Magari anche a saper riprendere i rapporti umani, le relazioni umane quelle più profonde, più vere.
Però anche il nuovo lavoro di Cisco è stampato in vinile. Insomma, forse un indietro al passato ci si torna non credi?
Ecco… in effetti un po’ indietro si torna, visto? Scherzi a parte, io sono sempre stato un forte amante e collezionista dei vinili, non che questo sia un bene, sia chiaro. Sono uno musicista e amo fare musica e poterla stampare su vinile. Amo quella spiritualità che c’è dietro a questo tipo di supporto, sentire il suono quando poggi la puntina sul disco è qualcosa che adoro. Il mio obiettivo è sempre quello di fare dischi che suonino bene, non sempre ci riesco ma ti posso garantire che mi impegno molto per riuscirci.
Il vinile per me è anche la musica con le M maiuscola. Per me è il modo di ascoltare musica anche se sono consapevole che si tratta solamente di una moda oggi. Però è una moda che mi piace e che mi fa ben sperare per le nuove generazioni. È un bellissimo modo per riscoprire anche opere d’arte del passato perché in fondo il vinile è un oggetto d’arte che suona in modo diverso dal CD o dall’MP3… non sto qui dilungarmi sull’annoso problema se sia un suonare migliore o meno però è oggettivo che suonano diversamente. Io sono cresciuto con i vinili, insomma sono un dinosauro… era la nostra alternativa alle cassette molto più low nei nostri ascolti e quindi sono tornato un po’ bambino nel vedere queste nuove generazione ripescare dal passato la passione per questo supporto.
Tutti i miei dischi da solista io li ho fatti in vinile, c’è una casa discografica che ha ripreso i diritti di tutti i dischi dei Modena City Ramblers e li sta ristampando in vinile ed io sono contento…
Sono un po’ nostalgico, lo so, però trovo che sia un modo per avvicinarsi alla musica con più serietà, meno usa e getta, ma più consapevoli che si sta entrando in punta di piedi nella vita e nel mondo di un artista, che ti stai avvicinando a lui e alla sua musica… e questa cosa per me è impagabile.
Indiani & cowboy, l’album di Cisco su Spotify
In estate, i live, il motore primo di questo lavoro, dell’essere cantautori e musicisti. Quali sono secondo te gli indiani e i cowboy della musica di oggi? E le barriere?
Bella questa domanda. Mi verrebbe da risponderti, forse in modo un po’ frettoloso, che i cowboy sono un po’ i Talent Show mentre gli indiani sono tutti coloro che riescono a resistere anche a quella tentazione. Indiani sono quelli che si mettono sulla strada e cercano di promuoversi, di farsi ascoltare, di farsi vedere andando a suonare anche in posti sgarrupati, mal pagati, cercando sempre di migliorare la propria musica, facendo quella che un tempo si chiamava gavetta, la famosa gavetta, quella che ormai nessuno più vuol fare cercando invece di passare dai talent.
Sperano forse di accorciare la strada… ma secondo me regala solo momenti effimeri di popolarità che, ad eccezione di rarissimi casi, svaniscono in pochissimo tempo. Invece coloro i quali lavorano ogni giorno da soli alla scrittura delle loro canzoni facendo appunto quella gavetta di cui parlavo, per me sono dei piccoli eroi, sono gli indiani.
I cowboy sono gli altri e non possiamo far finta che non esistono… quel mondo li è accattivante non possiamo negarlo. Però credo anche che nei talent non si cerca mai la qualità delle scritture. Mi piacerebbe vedere la ricerca della qualità, cioè vedere che cosa hai da dire e il modo in cui me lo dici. Non ho visto mai una cosa simile… si cerca sempre invece il bel volto, la bella voce, una bella apparenza, un bel ritornello ma la profondità delle scritture non si è mai cercata.
Cambiano le stagioni e i protagonisti ma questa cosa non cambia mai e un po’ mi dispiace. Quindi in conclusione si: la strada dei cowboy è più affascinante ma molto superficiale secondo me… gli indiani invece sono scomodi, stanno li accampati che resistono.
Tu che ci sei arrivato al confine americano… ma alla fine poi, l’America è sempre la terra promessa?
Io non hai vissuto l’America come terra promessa. Un po’ per cultura e immaginario l’ho sempre vista come una terra di grandi contrasti dove sicuramente succedevano cose meravigliose e non solo, anche cose terribili, cose che non avrei mai voluto ascoltare ed esportare nel mio paese. L’America che ho visto io e un’America di frontiera, un’America di confini, di contrasti, non a caso sono volato in Texas, ad Austin che non dista molto da quel muro tanto chiacchierato da Trump e da tutta la sua combriccola…
E ho visto però che ne pressi del confine accadono le grandi cose. Perché le culture si mescolano e non si ha aver paura del diverso. Anzi il diverso spesso ci arricchisce, ci regala nuovo sangue, nuove idee, nuova cultura, che crea poi con la nostra nuove idee, nuovo sangue e nuova cultura. Noi fatichiamo a capirla questa cosa… anche in Italia ormai ragioniamo per barbiere, confini, porti chiusi.
Ma se guardiamo bene, questo nuovo modo di stare al mondo che sta arrivando anche in Italia (qualcuno dice invadendo ma a guardar bene non è proprio così), ci arricchirà e arricchirà il nostro futuro. Io ho vissuto quell’America li, una terra di contrasti e di sapori, sia a livello culinario che artistico e culturale etc… e questa cosa a me è piaciuta tanto.
Magari un’altra America che avrei potuto conoscere non mi sarebbe piaciuta così. Il mio viaggio in quell’America a lavorare con Rick Del Castillo (dal suo cognome ci si può fare un’idea delle sue origini), è una terra fatta di mescolanze e nessuna paura e tanta voglia di fare insieme per andare avanti. Questo è il risultato per me di “Indiani & Cowboy”.
Poi ovviamente poteva valere una qualsiasi altra frontiera ma diciamo che l’America rappresenta un po’ la terra per eccellenza parlando proprio di frontiere. Dunque nessuna terra promessa… e poi anche la voglia di rimescolare le carte, per la mia musica, per il mio lavoro e per il mio suono che si differenzia tanto dai miei dischi precedente. Era una cosa voluta e ci siamo andati molto a fondo.