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L'evoluzione di NADDEI parte da MOSTRI. L'intervista su MIE.

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Esce “MOSTRI”, il nuovo EP di FRANCOBEAT, ovvero FRANCO NADDEI che da oggi è così che si presenta al suo pubblico.
La redazione di MIE
Un lavoro di omaggi e di grandi percorsi della storia della canzone d’autore che il musicista di lungo corso che ha sulle spalle grandi collaborazioni, produzioni celebri nella scena indie ma anche il famoso COSABEAT, uno dei più importanti studi di registrazione della Romagna.
Esce oggi questo Ep che ci da una gustosa anticipazione del suo futuro lavoro che firma come NADDEI: “MOSTRI” è un disco in cui il nostro omaggia Battiato, De André, CCCP, Tenco in una chiave intimistica, noir e decisamente digitale.
Musica dalle caverne dell’intricato esistere dell’uomo con questo suono beat che restituisce una nuova forma ai grandi colossi che conosciamo. Forse proprio i “MOSTRI” da cui scappare o verso cui tendere.
Diversi i video ufficiali con cui arricchisce ciascun brano. Noi vi presentiamo “VERRANNO A CHIEDERTI DEL NOSTRO AMORE” dell’eterno Faber.

L’intervista a NADDEI

Delle volte ci prende “male” dove parlare di dischi e di artisti che tutto sono tranne che emergenti, come vorrebbe il nome di questo magazine. Ma la musica va raccontata a 360 gradi. E proprio parlando di grandi maestri del passato la prima domanda è assai sociale: secondo te, ci sono oggi artisti che saranno grandi maestri nel futuro?
Dai, non siate presi male. In fondo nonostante l’eta io sono ancora un “emergente” e mi sono anche assunto il rischio di fare delle cover, anche se potrei ardire chiamarle rivisitazioni piuttosto radicali.
Nello specifico mi è difficile rispondere alla tua domanda dato che ho dato vita a questo progetto proprio perché temo che la risposta a suddetta domanda sia no. E’ evidente che i maestri diventino tali proprio quando superano la prova del tempo. In tanti si sono sbagliati o ricreduti quando un sottovalutato nella propria epoca, o banalmente finché in vita, col tempo è poi stato incoronato maestro. Sarebbe anche presuntuoso da parte mia stabilire chi oggi possa effettivamente diventare maestro domani.
Sicuramente gioca a mio favore la corta curvatura temporale che si da al prodotto musica oggi. Un artista viene buttato con clamore sul mercato e spremuto in un lasso di tempo troppo breve. E mentre questo accade probabilmente chi vive questa specie di notorietà drogata, muta e non sempre gestisce la propria capacità di evolversi serenamente. Posso dire che stimo qualche artista, ma non voglio fare nomi dato che sarebbero tutti amici che frequento e che spero prima o poi avranno il posto che meritano in questo pazzo panorama “indiemainstream”.

Una rilettura in chiave elettronica di uno dei più bei brani scritti da Piero Ciampi.


Eppure, come questo tuo nuovo lavoro dimostra, se dobbiamo riferirci ai mostri pensiamo al passato. Perché?
La musica, e chi la scrive, vive in un tessuto sociale, politico, umano. Forse farò la parte del retrogrado ma i tempi sono cambiati e quindi cambiano anche i modi in cui viene raccontato ed il mondo stesso da raccontare.
Il passato ha comunque un fascino fiabesco. Quando si parte con un “C’era una volta” chi ascolta è già benevolmente accolto dentro una storia che suona già rassicurante perché lontana da lui e la può osservare senza esserne coinvolto visceralmente, perlomeno inizialmente. Se poi vogliamo addentrarci in altri discorsi più tecnici credo che quel che ci ritroviamo dal passato sia il frutto di una discografia decisamente più coraggiosa e libera di sperimentare sul pubblico che non oggi.
Per quanto ci appaia tutto più aperto, libero, a tratti anarchico, questo tempo mi appare piuttosto reazionario. Ho sentito cantautori e band dichiarare di ispirarsi a Venditti, Rino Gaetano, il trash anni ’80 o De Andrè senza soluzione di continuità, a tratti producendo effettivamente dei mashup divertenti, a tratti facendo cose estremamente discutibili, per non dire di peggio.
In fondo le grandi truffe del passato, anche in termini di efficacia e di vendita, erano operazioni molto coraggiose. Pensa ai Velvet Underground di Warhol, o ai Sex Pistols di Malcolm McLaren: progetti confezionati per vendere ma con un pensiero dietro. In realtà trovo che molti dei discografici del passato fossero degli intellettuali che sapevano bene come dividere i prodotti musicali per far cassa da quelli che dalla stessa cassa poi prendevano le risorse per giocare e sperimentare dando vita a progetti più “difficili”.
Io questo respiro non lo sento più. E’ ovvio che tutto è cambiato e non si possono fare paragoni, ma rimango dell’idea che i mostri del passato avessero uno sguardo verso il futuro che mano mano è andato miopendosi, per così dire.

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Domanda personale: cosa ti spinge alla trasformazione di nome? Cioè cosa ti ha fatto decidere che finalmente era il tempo di presentarti con il tuo vero cognome?
Francobeat aveva una missione che ho capito solo col tempo. Per lui la musica era un mezzo per portare concetti, storie, provocazioni. In tre dischi ha parlato della beat generation italiana (Vedo Beat), della poesia giocosa di Gianni Rodari (Mondo fantastico) e della poesia stralunata di disabili mentali (Radici). Ho capito che avevo fatto una trilogia della fantasia, da quella ribelle, a quella strutturata ed autorevole a quella totalmente fuori controllo ed istintiva.
“Radici” mi è sembrato l’apice di questo periodo e devo dire che mi ha fatto capire che pretendevo troppo dalla sola forma canzone. Troppa roba, troppi concetti, troppi suoni. Non sono i tempi per andare nei locali a rompere i coglioni alla gente spiegando che i matti scrivevano come grandi poeti, che Rodari non era solo uno scrittore per bambini, etc etc.
Mi ritrovavo a fare concerti dove la metà era parlare alla gente e metà era suonare. Mi sono molto divertito nel farlo e ho raccolto molte energie e riscontri dal mio modo di intendere la musica. Semplicemente penso di aver concluso questa fase. Ora vorrei mettere tutto nelle canzoni e nel suono di un artista nuovo. Francobeat era onnivoro, giocava coi generi musicali e quelli letterari. Naddei è proprio un altro. Un uomo maturo, con un suono ben preciso da portare avanti, che ha scelto di guardare il suo futuro studiando prima i grandi autori che hanno scritto canzoni che lo hanno toccato dentro perché é lì che vuole arrivare; fare canzoni che muovano più la pancia che il cervello.
Ed il beat non manca neanche in questa nuova fase. Perché è di nuova fase che possiamo e dobbiamo parlare vero?
Certamente. Il beat di ora ha molto più a che fare col battito cardiaco che non con Kerouac o Corso. Mi volevo anche allontanare da questa faccenda del “beat” che ho sempre dovuto spiegare a fatica e quando una cosa la devi spiegare vuol dire che non ti stai facendo capire bene. Essere Francobeat aveva qualcosa di anarcoide e libertario, come se la ragione individuale con coscienza e un pò di cultura, potesse sostituire regole e stili, come se tutto fosse possibile e senza limiti alla fantasia. Partendo da questo presupposto però mi sono sempre ritrovato con troppe cose intorno.
Dopo tutto avevo bisogno di tornare a casa, nel suono elettronico con cui sono partito da ragazzino ma con la possibilità di giocare con pochi elementi, in primis la mia voce che con gli anni è diventata sempre più bassa a causa del fumo, e che porta in se la consapevolezza dello scorrere del tempo: beat-clock. Così in questa nuova fase volevo scoprire se cantautori totalmente diversi, e di indiscusso talento nella scrittura, potessero apparire come un unico autore. Mi pare di esserci riuscito, ed ora spetta a me dare questo sguardo verso il futuro e provare a scrivere qualcosa di mio.
Non ho l’ardire di avere la stessa potenza di scrittura dei mostri che ho tirato in ballo ma vorrei veramente sciogliermi la lingua. Il tempo è passato e ho storie da raccontare accumulate nel cassetto.
Ma i mostri vanno esorcizzati, conosciuti o superati? Quindi questo progetto è un progetto per definire dei punti di partenza o dei riferimenti a cui arrivare?
I Mostri vanno assolutamente conosciuti. Niente è superato o meglio, niente di quel che ha a che fare con qualcosa di autentico lo è. Sai quanti cantautori del passato ancora non conosciamo? Eppure siamo sommersi di tantissimi nuovi altri che pure ci sfuggono nella marea di dischi che escono ogni giorno.
Se abbiamo un patrimonio intanto andrebbe conosciuto meglio. Io stesso ho sempre un pò snobbato la musica italiana e questa immersione senza preconcetti mi ha fatto molto bene. Siamo in un momento dove è difficile scusare l’ignoranza perché con pochi click, e un pò di voglia e di curiosità, è facile accedere a tantissime canzoni, tantissimi riferimenti sugli autori, tantissimi aneddoti e storie legate a chi ha fatto la nostra della nostra musica. Basterebbe poco ma se non sai cosa cercare rimani fermo alla prima schermata, là dove il tutto diventa niente (o diventa la prima cosa che ti propinano).
Non si può dare per scontato che tutti conoscano De Andrè, Paolo Conte, Luigi Tenco, Rino Gaetano ma anche Freak Antoni o i CCCP. Non mi interessa se ascolti Ghali, Calcutta, Salmo, POPX o i The Giornalisti, mi interessa che la scelta sia fatta nel raggio più largo possibile non fra il più chiassoso in termini di marketing. Sarò snob, ma la penso così.
Quindi parto da qui, studiando i fondamentali per poi arrivare a fare qualcosa di nuovo per me; ancora più sincero, ancora più frontale e senza filtri. Molti di questi “mostri” lo hanno fatto già e mi hanno insegnato tanto.

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