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Produzione musicale: budget uguale target

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Michael Jackson vendette più di 115 milioni di copie con “Thriller”, i Pink Floyd ne vendettero circa 50 milioni, Eros Ramazzotti sfiorò i 2 milioni con “Dove c’è musica” nel 1996. Questa oggi è preistoria. I dischi “non si vendono più”, lo sanno tutti, o meglio, i dischi si vendono ma in un modo completamente diverso rispetto al passato e, cosa più importante, per un motivo diverso. Non mi dilungherò su questo già conosciuto e dibattuto argomento, ne ho fatto uso solo per introdurre questo articolo: il rapporto tra il budget di produzione e il risultato che ci si prefigge di ottenere.
Il target che oggi il 99% degli artisti vuole raggiungere non può essere più quello delle vendite in senso assoluto. Il prodotto discografico diventa un elemento coadiuvante del proprio escursus artistico. Diventa quello che spesso si definisce “il proprio biglietto da visita“. Il CD diventa un gadget sonoro da smerciare ai propri concerti dal vivo oppure va in upload su Soundcloud per girare il più possibile. Ecco perché è importante a mio avviso osservare il legame che c’è fra il prodotto che rappresenterà l’artista e le risorse destinate per realizzare questo prodotto.
Come la fotografia che il padre scatta al proprio figlio ogni anno per imprimere su carta la prova della sua crescita, così l’artista o la band imprime in studio di registrazione il proprio status attualeuna sorta di fotografia del proprio grado di maturità artistica. A prescindere dalle disponibilità economiche di cui si dispone credo che convenga sempre commisurare le risorse al proprio target. Questo si traduce prima di tutto nel tempo investito nella registrazione. Partiamo dal presupposto che esiste un ordine di importanza nella produzione musicale (ne parlerò in maniera più approfondita nei prossimi articoli); in linea generale al vertice abbiamo le idee, poi l’aspetto qualitativo-musicale e infine la realizzazione tecnica.Tanto per fare un esempio, è poco utile impiegare una giornata di editing per mettere perfettamente in griglia una traccia di batteria se il pezzo ha dei grossi problemi di arrangiamento. Diventerebbe una batteria suonata a tempo in un pezzo che non funziona. In aggiunta si sono spese centinaia di euro. L’artista o la band deve avere un certo grado di autocritica e, di conseguenza, una forte capacità di gestione della produzione.
Una band costituita da bravi musicisti e da un sound unico e inconfondibile deve interessarsi ad una realizzazione accurata, dove l’uso di un compressore analogico contribuisce a creare unicità al prodotto. Con questo non voglio dire che negli altri casi la realizzazione tecnica può essere fatta senza criterio. La professionalità impone rigore, bisogna sempre fare le cose per bene. Piuttosto non bisogna fossilizzarsi su aspetti poco rilevanti rispetto allo stato generale del progetto. Questo è uno dei nodi fondamentali spesso non considerati appieno da parte di chi si autoproduce. Ecco che si finisce per spendere troppo nella maggior parte dei casi ottenendo peraltro un risultato non soddisfacente.
Questo discorso va applicato poi con vari pesi e misure relativamente al genere musicale e persino al singolo brano. Questo perché ogni brano ha la sua storia, le variabili sono pressocché infinite ed è necessaria una visione chiara e completa dell’atteso risultato.
Ho ricevuto troppo spesso richieste del tipo “quanto costa registrare lì”? Bisognerebbe partire dall’esigenza, ossia da quello che si vorrebbe registrare e soprattutto in che modo. A quel punto anche noi fonici / proprietari di studi saremmo in grado, con maggiore accuratezza, di fornire un preventivo. Gli imprevisti e i cambi di rotta ci potranno essere (come spesso accade) ma è necessario partire con le idee chiare.
 
Ivano Giovedi

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