PUNK AL VALTUR! ARRIVA GIACOMO TONI
di Giovanni Bagnari
Il 22 novembre a Live&More giungerà il signor Giacomo Toni, scanzonato pianista futurista romagnolo, e l’occasione è ghiotta per scambiarci due parole. Sembra uscito dalla banda dei gatti jazzisti degli Aristogatti e ascoltarlo parlare è davvero un piacere: occhi insanguinati, fumatore perfetto, ottimo bevitore e con una bella voce pastosa. Nel 2013 è uscito il suo disco Musica per Autoambulanze (MArteLabel) e ne sta già preparando uno nuovo. Al Caffè Centrale porterà per la prima volta il suo Piano Punk Cabaret “Sono stato un punk e un musicista di piano bar, questo progetto è una degna conseguenza”. Ci ha raccontato, davanti a una bottiglia di vino a Forlì, anche parecchie cose del suo passato, compresa di quella volta in cui al Valtur mentre suonava gli lanciarono una ciabatta in faccia.
A Live&More arrivi per la prima volta. Il nostro pubblico non ti ha ancora visto all’opera. A volte più che cantare reciti le canzoni, ti muovi e ti dimeni come un attore indemoniato. Sarà così anche sabato?
Certo! Quando suono ho un impulso teatrale. I live sono il mio sostentamento, campo di quello ed è l’unica cosa che penso di saper fare. Se i locali mi danno una chance sono quasi sempre certo di riuscire a convincerli.
Prima cosa facevi?
Dei mestieracci. Ho lavorato anche come agente di commercio in un’azienda di mobili da bagno e sanitari. Ero anche addetto ai pezzi difettosi, fotografavo dei water che le signore contestavano e molte volte mi davano del ladro. Grandi soddisfazioni insomma. Da cinque anni mi occupo solo di musica.
Una domanda che spesso mi piace fare è perché si comincia a suonare?
Scrivo canzoni da quando sono piccolo. È una cosa naturale. Le conservo praticamente tutte e la maggioranza non le faccio vedere. Ho scritto delle cose ignobili e altrettante ne scrivo ancora.
Come lavori?
Mi reco spesso nello studio di registrazione di Franco Beat (nome d’arte di Franco Naddei, anche lui sul palco il 22 – nds) a Villafranca. Dovrei cominciare ad essere più scientifico e scrivere molto di più. Nick Cave per esempio in questo si comporta da operaio: tutti i giorni prende su e va nel suo studio londinese, dalla mattina fino alla sera.
Le etichette vogliono dodici pezzi buoni all’anno e non è facile, devi essere davvero molto ispirato. A dir la verità ancora non ho capito bene la tecnica adatta per fare canzoni. La musica è davvero un’arte strana. Perché ci piace una canzone? Nella musica capitano cose anche se a cantare c’è un deficiente.
Stai realizzando un nuovo disco. Cosa dobbiamo aspettarci?
Un disco più anarchico rispetto ai precedenti, in senso totale del termine, non politico. Canzoni contro la piaga neopuritana che emerge nei modi di comunicare delle persone, dove tutti sanno. Ci si dimentica che la prima regola della filosofia è “So di non sapere”. Le domande sono sempre da mettere in crisi e sono contrario alle ondate di preti e fazioni che si scannano e non si mettono mai in dubbio. L’umanità da sempre ha bisogno di punire. Tutti a gridare: “Giustizia!!!”. Ecco mi piace tirare fuori questi argomenti nel mio lavoro. Vorrei chiedere a tutti queste persone che cosa vogliono fare, isolare la gente? Non lo so e lo chiedo al mio pubblico quando canto.
Che ruolo ha l’arte in generale nella tua musica? È anche palese una tua vena futurista.
All’inizio ero molto swing e l’avanguardia futurista e il dadaismo sono sempre state fonte di ispirazione. I miei riferimenti letterari e artistici vengono da lì e mi aiutano a raffinare le idee. Le citazioni in Musica per autoambulanze sono tante. Notturno è ambientato nei quadri di De Chirico, una scrittura per immagini che non sempre faccio. Poi c’è anche tanta letteratura, da Giorgio Manganelli a Queneau. Tutti artisti morti, sui vivi sono poco aggiornato.
Racconti di uomini dissipati dagli stili di vita insalubri e considerati negativi dalla società. È più facile raccontare queste vite?
Il mio pezzo più richiesto è Il Bevitore Longevo, me la chiedono anche tre volte a sera, e quando la gente l’ascolta beve di più. Ne avrò sicuramente diversi sulla coscienza. Cerco sempre di indagare i personaggi che sguazzano nel male e sarà così anche nel prossimo disco. Un esercizio che svela un sacco di cose sulla morale. I sentimenti esplodono in quei personaggi. Quando in una canzone riesci a dare dignità a un ultimo alla gente piace. Riesci a umiliare quello che il popolo vive come un potere opprimente, qualsiasi esso sia. È li che mi accorgo di fare un fare un mestiere utile.
Tanti cantautori, in primis De Andrè, agli ultimi hanno dedicato interi dischi.
È vero anche se io sono per rompere con la tradizione, in ogni caso. Soprattutto con il cantautorato, parola da mettere in discussione. Adesso non è più tempo per sperimentare le cose che hanno scritto i grandi anni fa. Credo sia meglio pensare alle canzone anni Cinquanta, pre-cantautorale, che assomigliano tanto a quelle che vogliono i discografici adesso: corte e dritte al bersaglio. Un esempio perfetto: Bobby Solo!
Sei stato anche a suonare negli Stati Uniti. Come sono?
Abbiamo vinto un concorso e ci siamo esibiti all’HitWeek Festival di Miami. Ha funzionato tutto bene. Avevo dei dubbi all’inizio anche se la matrice della mia musica è anglosassone, simile a quella di Mingus, non certo alla Johnny Dorelli, tra l’altro uno dei mie idoli!
Il bello degli Stati Uniti è che sono così come te li immagini. I motel sono quelli dei film thriller, uguali.
Come sono visti gli italiani?
Laggiù c’è molto affetto per noi. Come italiani ci sentiamo alla periferia dell’impero, non abbiamo un grande appeal ultimamente. La strada giusta non è emulare prodotti anglosassoni o giapponesi perché comunque faremmo peggio. Dobbiamo creare una nuova tradizione e rinnovare il classico partendo dal classico, come faceva De Chirico. Poi posso contraddirmi, lo faccio spesso, metto in dubbio quasi sempre quello che dico e faccio.
E una fantastica contraddizione sembra proprio il tema del tuo live: Piano Punk Cabaret! Come nasce questo progetto?
Quando avevo 22 anni suonavo alla Valtur, un inizio di cui sono molto orgoglioso. La mia musica attuale è proprio una evoluzione del piano bar: cercare disperatamente di non annoiare la gente. Nel mio primo gruppo invece facevo del punk, cantavo e suonavo la chitarra. Ho unito le due cose.
Come sei finito nei villaggi Valtur?
Prima di partire lavoravo come addetto alle riparazione all’inceneritore dei rifiuti ospedalieri. Bidoni con dentro l’inferno: sacche di sangue, siringhe ecc. era una cosa atroce. Decisi di smettere quando un privato mi mandò in un sacco un cane morto: gli dovevo bruciare il cane!
Andai a fare le selezioni a Milano, mi presero e partii per Agadir, Marocco.
Che musica facevi? E ti prego raccontami qualche anedotto.
Suonavole canzoni dei cantautori italiani e il popolo dei villaggi turistici non apprezzava sempre.
Ho fatto figure di merda atroci. Una coppia mi chiese Più bella cosa di Ramazzoti. Mi misero la base ma non sapevo come finiva. “Più bella cosaaa!!” la mia voce era strozzata, una tragedia.
Un’altra volta uno della ‘ndrangheta ubriaco mi lanciò una ciabatta in faccia. Però la cosa bella è che si conquistavano le donne facilmente, era un meccanismo davvero sinistro. Le donne anziane invece andavano con i marocchini locali! Strepitoso. C’era questa regola: i mariti andavano a giocare a golf da soli mentre le signore rimanevano al villaggio, prendevano il tè e regolarmente arrivava il ragazzino che se le portava nella casba. Una volta venne a trovarmi mia mamma e la vidi nella sala da tè da sola. Mi venne un colpo. Cominciai a correre per fermarli “Ah scusa non sapevo fosse tua mamma!”. Insomma si volevano fare anche lei.
Su questa immagine fermo il registratore e entriamo a mangiare.
A Live&More Giacomo Toni.
Imperdibile.