Su MIE, arriva Rocco Rosignoli con il suo "Tutto si dimentica".
“Tutto si dimentica” è il titolo di questo quarto album di inediti di Rocco Rosignoli.
Tradizione e sperimentazione si intrecciano, seguendo il filo della memoria. Un filo tenace e sottile al contempo, che ricama un’identità a partire dal rapporto con un passato. Un’identità privata e intima, che si allarga poi fino a farsi sociale, civile e politica.
Voci, tantissime voci popolano il disco di Rosignoli, echi del passato, fantasmi senza volto che son padri di sangue e padri di pensiero che diventano solidi riferimenti politico-sentimentali.
Un album intenso, sospeso tra sogno e realtà che porta l’ascoltatore nel mondo del cantautorato, quello forte, passionale e che, nel 2019, resiste ancora alle tendenze del music business.
L’intervista a Rocco Rosignoli.
Rocco, ne approfitto per ringraziarti per questo meraviglioso album. Come è nato?
Beh, intanto grazie per il complimento, graditissimo!
“Tutto si dimentica” è un progetto che ha occupato buona parte degli ultimi tre anni della mia vita. Non avevo una precisa idea razionale nel concepire il disco: avevo invece una sensazione, una precisa intenzione di stimolare determinate corde emotive con questo lavoro. E soprattutto avevo un’idea sonora che mi ossessionava: quella di ricreare atmosfere new wave, ma esclusivamente con strumenti acustici.
Infatti, in questo album ho fatto un ampio uso di mantici, dall’armonium alla fisarmonica passando per la concertina: sostituiscono i synth e ipad, come le corde etniche sostituiscono le chitarre elettriche, e il violino riveste a volte un ruolo noise. Non ha una costruzione razionale, dicevo, ma solo emotiva.
Eppure al centro ha il tema della memoria, e lo racconta fin dal titolo – che poi è anche il titolo di un brano. “Tutto si dimentica”, una frase che è un assoluto. Eppure è una bugia, e la canzone stessa che ha quel titolo lo denuncia: tutto si dimentica, e non ti spieghi perché alcune cose dolorose, invece, ti rimangono conficcate nella memoria e non riesci a tirarle più via.
Dimentichiamo più spesso ciò che non si vorrebbe, che ciò che vorremmo lasciarci indietro.
Ci sono elementi o argomenti che hanno scatenato la tua creatività portandoti a pubblicare “Tutto si dimentica”?
Per come io concepisco e vivo la canzone, alla base di tutto ciò che scrivo c’è sempre un evento privato.
A volte il privato si mescola al pubblico, a volte il pubblico si prende spazio e diventa preponderante. È questa la differenza principale che ho vissuto nella scrittura di questo disco rispetto ai miei precedenti: vive in una dimensione sociale, mentre i dischi che ho fatto prima riguardavano fatti molto più interiori. Io sono convinto, secondo l’assunto marcusiano, che il personale sia politico.
Ma in quest’album la dimensione politica che vivo si fa spazio con prepotenza, attraverso la rivendicazione di un’appartenenza, attraverso il richiamo al canto popolare, attraverso le emozioni che ci ho messo nello scriverlo.
È stato un processo naturale, probabilmente i tempi erano maturi perché un discorso simile prendesse piede.
Rocco Rosignoli – Sul selciato di Piazza Garibaldi
I riferimenti cantautorali sono chiari e rispettati in ogni suo canone artistico. Cosa pensi del cantautorato italiano contemporaneo; sta rispettando chi lo ha reso grande?
Non so se un artista debba necessariamente rispetto a chi è venuto prima di lui.
Molte tra le opere d’arte che ho amato di più si ponevano in maniera antitetica rispetto a ciò che le aveva precedute.
Parlare di cantautorato, poi, è difficile: non si tratta di un genere vero e proprio, e tra i cantautori ci sono differenze enormi.
Ci sono differenze enormi anche nell’opera di un singolo artista: De André si è ripetuto raramente, lo stesso Guccini, che musicalmente ha percorso meno strade, ha modificato di tanto il suo songwriting negli anni.
Inoltre, il panorama della canzone contemporanea è talmente frammentato che è difficile scorgerne una dimensione che sia comune.
È venuto meno il filtro dell’industria, e questo da un lato porta a un’estrema ricchezza espressiva, ma dall’altro crea un panorama troppo ampio per poterlo abbracciare con lo sguardo. Dunque non mi sento di emettere giudizi sul lavoro altrui, perché non posso conoscerlo per intero, né averne una visione esaustiva.
Posso parlare del mio lavoro, e dire che, se in esso si sente l’eco di una modalità di scrittura riconducibile all’universo della canzone d’autore, è perché questo universo è quello in cui sono cresciuto, e che nel corso degli anni non ha mai smesso di emozionarmi.
Mi ha fatto conoscere tanti modi di utilizzare il materiale musicale, e la necessità impellente di usare una melodia per amplificare il significato delle parole, un’armonia per dar loro un contesto, dei suoni per vestirle.
È la mia esperienza, e tutto quello che faccio passa attraverso questo mio tirocinio.
Rocco Rosignoli – Primo Maggio di festa
L’album ha una piccola grande perla che si intitola “Almen nel canto”,
un brano di resistenza.
Quanto è importante il messaggio di resistenza nella musica italiana?
l concetto di resistenza è centrale nel mondo musicale che mi ispira, e nel solco in cui, umilmente, provo a inserirmi.
È un filo rosso che parte da lontano, che parte dal desiderio di rivalsa delle classi subalterne. Attraversa i canti di lavoro e quelli anarchici e comunisti, i canti partigiani e le canzoni contro la guerra, approda all’opera dei cantautori attraversando l’indagine degli etnomusicologi.
La resistenza è forza rivoluzionaria che dirompe nella sua forma più pura: necessità di esistere, prerogativa della natura nella ricerca di un modo di restare in vita. A volte è la ricerca di un sistema diverso di vita, la ricerca di una vera e propria rivoluzione.
“Almen nel canto” racconta la voce delle generazioni senza nome che mi hanno preceduto, così come io l’ho sentita nei canti che grazie al lavoro di tanti sono giunti fino a me.
È un brano che, un anno fa, si è aggiudicato il premio della Giuria al Concorso Nazionale per Cantastorie intitolato a Giovanna Daffini, una delle grandi interpreti e testimoni del canto popolare del secondo dopoguerra.
Si percepisce tanto della tua terra. Mi sembra superfluo chiederti quanto è stata influenzata la stesura di questo album dalla storia della tua terra. Quello che voglio chiederti è se indispensabile, la tua terra, per la tua vita artistica.
La mia terra è una terra del cuore, e in quanto tale è necessaria al mio sentire, alla mia emotività. Il profilo degli appennini è sempre stata una delle visioni più ambite per me, il cielo solcato da piccoli rapaci, molto meno maestosi delle aquile.
Sono attaccato alle mie zone, certo: ma continuo a pensare che la mia patria sia il mondo.
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Una canzone che mi ha colpito tantissimo è “Sul Selciato Di PIazza Garibaldi (I Sette Martiri)”. Finalmente si torna al cantastorie. Sarebbe bello sapere la storia di questa canzone.
“Sul selciato di Piazza Garibaldi” nasce con un modello preciso, che è “Per i morti di Reggio Emilia”, capolavoro di Fausto Amodei.
Non ne sfiora neppure da lontano la ricchezza musicale, ma da quel brano (non è il solo, ma io avevo in mente proprio quello) mutua l’idea di sfruttare i versi, la metrica e la facilità che abbiamo nel ricordare le rime per far sì che chi la ascolta non si scordi i nomi delle vittime. I sette martiri di cui canto erano sette antifascisti, torturati per giorni e poi fucilati per rappresaglia nella piazza centrale della mia città, Parma.
Negli anni scorsi ho accompagnato molto spesso le presentazioni di un libro dell’amico Nicola Maestri, intitolato “Ti riporto a casa”.
Nicola è nipote di Eleuterio Massari, uno dei sette martiri, e nel romanzo narrò la storia d’amore dei suoi nonni, dai romantici inizi fino al tragico epilogo.
Sua nonna, Livia Rossett, compì un gesto di coraggio inimmaginabile, andando a recuperare il corpo martoriato del marito, quando i fascisti avevano imposto il divieto di toccare i resti di quei poveri uomini.
La canzone nel disco è una bonus track: è una coda, con questo brano cambia lo scenario, entrano in gioco la batteria e gli strumenti elettrici.
È un brano che ha un sapore combat-folk, grazie anche al preziosissimo contributo di Nicolas De Francesco al basso e di Emanuele Nidi alla fisarmonica.
Nacque come singolo, e fu pubblicato online il primo settembre 2018, anniversario dell’eccidio, proprio mentre grazie all’invito dell’ANPI di Parma cantavo la canzone alla commemorazione ufficiale, sotto la targa dedicata ai sette martiri.
Non potevo non includerla nel disco, anche se era molto slegata dal resto del discorso. Dopo averla inserita in coda come bonus track, a ogni ascolto mi convinco sempre più che sia un finale ottimo per “Tutto si dimentica”.