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Cantanti: I presupposti di una buona riuscita

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Partiamo dalle fondamenta: melodia, armonia e ritmo. La melodia è l’espressione più elevata in musica e il cantante si rende mezzo interpretativo di essa. E’ quella che fischietti quando pensi ad un brano. Ecco perché il cantante è considerato il protagonista di una canzone. Proprio per questo egli deve avere padronanza e conoscenza del proprio strumento e, non meno, dell’ambiente col quale va ad interagire. Non entrerò in merito alle tecniche di canto, che rimando ai soggetti competenti, ma approfondirò l’interrelazione con il mondo della registrazione.
L’aspetto più importante da cui partire è l’estensione ossia il range di note che si riesce ad eseguire dalla più grave alla più acuta. Ciascun cantante ha una propria estensione e questa riguarda non solo la nota più acuta che è capace di emettere ma anche la più bassa (spesso trascurata). Chi studia canto sa che l’intera estensione è da suddividere in vari registri (voce di petto, voce in falsetto e voce di testa) ciascuno dei quali corrisponde ad un determinato timbro. Questo gli permette di destinare un particolare colore alla voce rispetto al brano (ne parleremo più avanti). Il cantante dovrebbe considerare la nota più bassa non in senso assoluto ma quella che riesce ad eseguire in maniera qualitativamente sufficiente! Così come deve sapere il limite più alto oltre il quale la nota emessa appare strozzata, se pur intonata, e provvedere ad un corretto passaggio alla voce di testa. In accordo con l’estensione si stabilisce la tonalità del brano da eseguire. Potremmo dire che è l’altezza alla quale gli strumenti suoneranno. E’ questo il passaggio fondamentale, il cantante è a proprio agio, sicuro, ed è il primo passo verso la valorizzazione delle sue capacità. Non bisogna farsi prendere dallo sconforto se è necessario abbassare la tonalità (rispetto all’originale, se si canta una cover), cantare non vuol dire gareggiare a chi “fa il più bell’acuto”!
Il ritmo, anch’esso caratteristica fondamentale, è strettamente legato al concetto di tempo. E’ fatto di note più o meno lunghe, pause, accenti. La melodia ha un ritmo, essa si incastra con quello degli altri strumenti e tutto questo funziona bene di solito ad una precisa velocità. Anche questo è spesso poco considerato. Una melodia cantata ad un tempo metronomico troppo lento diventa pesante e attendista e mette in difficoltà il cantante, sia sul piano tecnico perché dovrà sorreggere fino in fondo note molto lunghe, sia sul piano interpretativo. Al contrario un tempo troppo veloce non permette all’ascoltatore di gustarsi appieno la melodia e allo stesso tempo mette in crisi il cantante con la respirazione (spazi per prendere fiato troppo corti). La prova da fare è cantare la melodia a cappella, anche a mezza voce, lasciandosi prendere dall’istinto; subito dopo si prova anche a suonarla e ci si aggiusta di quel poco che serve. Di conseguenza il cantante dovrà “studiarsela” annotandosi anche dove prendere fiato. Attenzione! Il fiato è anch’esso componente musicale e dovrà essere collocato in modo che sia musicale oltre che funzionale.

Ed ora passiamo al timbro, caratteristica non secondaria ai precendenti, espressione in termini di “colore“. Lo si può aggettivare in vari modi, ad esempio caldo, graffiato, fresco, tagliente, profondo, vellutato, etc… tecnicamente viene definito in funzione del contenuto armonico della voce ed è a tutti gli effetti l’impronta vocale di ciascuno di noi (cantanti e non). Abilità del cantante è quella di saper scegliere e modulare il timbro in funzione di ciò che vuole esprimere. Diventa quindi uno strumento di interpretazione musicale. Il timbro è fortemente capace di comunicare uno stato d’animo, un’emozione. E’ però anche il risultato dell’impostazione nel canto. Ad esempio, cantare in falsetto è considerato di effetto più morbido e delicato che cantare di petto; cantare in modo più “soffiato” (caratteristica del genere pop) riconduce a sensazione di maggiore intimità. Saper padroneggiare queste caratteristiche rende automaticamente il cantante più espressivo e capace soprattutto di comunicare un’emozione legandola al testo e alla melodia che in quel momento sta interpretando. Ascoltate i brani di successo, analizzateli. Scoprirete che non sempre l’acuto è di voce piena e ciò non vuol dire che il cantante non lo sappia fare. E’ una scelta! E magari è quella più emozionante. Spesso differenti caratteristiche timbriche vengono utilizzate sapientemente per creare dinamicità all’interno del pezzo: la prima strofa ad esempio può essere più morbida e intima rispetto alla seconda più spinta e aggressiva. Questo crea interesse nell’ascoltatore durante l’intero brano (ne parlerò più approfonditamente in uno dei prossimi articoli).
Legato al concetto di timbro è quello di vibrato. E’ l’oscillazione in termini di intonazione e volume all’interno di una singola nota emessa. Il vibrato non è opzione esclusiva del cantante, può essere applicato a qualsiasi fonte sonora. Lo ritroviamo sempre presente nel canto lirico anche perché è conseguenza naturale di una corretta tecnica di canto. Ho assistito a definizioni del tipo “In quel punto ti trema la voce”, ebbene è da distinguere la scarsa capacità di sorreggere il diaframma con la naturale fuoriuscita del vibrato. Questo non vuol dire che un cantante deve utilizzare sempre il vibrato, esso è un’opzione e in quanto tale può essere il giusto abbellimento come essere totalmente fuori luogo! Anche in questo caso è utile analizzare i grandi interpreti, capire anche quanto tempo tenere la nota “dritta” prima che entri in azione il vibrato. E’ logico pensare inoltre che il vibrato espone meno il cantante alla stonatura: è più facile infatti percepire la stonatura di una nota senza vibrato che di una con. Chiaro è che anche il genere determina l’uso o meno del vibrato. E’ insolito nel rock, ad esempio, è obbligatorio nella lirica.
 
Ivano Giovedi

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