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Gionata Prinzo: Industrial Fingerstyle è il titolo del nuovo lavoro. L’intervista su MIE.

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di Salvatore Imperio

Industrial Fingerstyle è il titolo del nuovo lavoro discografico del chitarrista grossetano Gionata Prinzo.

L’EP, composto di 5 brani, è un lavoro in cui c’è tutta la preparazione e gli studi classici e moderni del chitarrista toscano, che ha conquistato il terzo posto al ParmaReggio Guitar Contest del maestro Paolo Sereno e che, nel 2018, ha ottenuto la vittoria da solista del Johnny Paranza Fry ‘n’ Roll.

A Night in Montreal – Video Ufficiale

 

L’intervista a Gionata Prinzo.

Ciao Gionata e benvenuto su MIE. Dopo un breve passato da cantautore ti sei lanciato nel fingerstyle. Visti i tuoi studi pensi che sia uno stile che possa evidenziare la tua preparazione musicale?

Di sicuro nel fingertyle la tecnica è importante. È la prima cosa che si nota in un chitarrista fingerstyle. Quindi sí, ma sicuramente la tecnica non è tutto.
 
Ci deve essere anche e soprattutto il contenuto musicale, una bella musica, che emozioni l’ascoltatore. Non mi sarei mai appassionato a questo genere se non ci fossero delle bellissime musiche, penso a Rylinn di Andy McKee, Drivetime di Tommy Emmanuel. Sono melodie e armonie uniche, che non si trovano in altri generi, e che rispecchiano in toto la personalità del chitarrista, che da solo imbastisce una sinfonia con le sue mani.
 
Con questo EP mi sono posto proprio l’obiettivo di far sentire delle belle musiche in primis. La tecnica è più che altro il mezzo con cui si fa della bella musica.
 

“Industrial fingerstyle” rappresenta un tuo secondo esordio dopo quello del 2011. Come è nato questo EP?

L’EP è nato come vincita a un concorso, il Johnny Paranza Fry’n’Roll. Si tratta di un concorso per band, ma mi sono presentato ugualmente come solista, con i brani strumentali… e ho vinto!

Il premio era la produzione di un EP con la Roots Rebels Record. Però immagino che anche se non avessi vinto, avrei comunque trovato il modo di registrarli e pubblicarli, perchè avevo veramente molta voglia di far sentire questi brani e cercare portarli a un livello di pubblico superiore, per vedere che riscontro c’era. Era un tentativo che andava fatto. Diciamo che “glielo dovevo”.

Possiamo dire che nel 2011 hai voluto capire in che mare volevi navigare prima di trovare un stile in cui ti sentivi a tuo agio?

È esattamente così. Nel 2011 provavo a fare il cantautore e feci uscire su Jamendo un piccolo album di brani, registrati interamente in casa. Mi hanno fatto i complimenti: la sorella, le zie, qualche cugino… stop.
 
Scherzi a parte… A quei tempi avevo, come ora d’altronde, la vena creativa della composizione musicale (e sono convinto che qualche brano non fosse poi tanto male dal punto di vista musicale).

Ma mi mancavano due cose, indispensabili per andare avanti come cantautore: il talento nei testi, e la faccia tosta di fare il cantante sul palco. Fu così che, dopo una lunga crisi di identità, decisi che la vocazione era quella della chitarra fingerstyle.

Industrial fingerstyle su Spotify

 

 

Il fingerstyle non è di certo uno stile che si improvvisa. Quanto lavoro c’è dietro e quali sono gli studi che hai affrontato prima di dare alla luce questo EP?

Ho iniziato con la chitarra classica, e ho il diploma di quinto anno, e questo sicuramente è stato fondamentale per avere le basi teoriche, indispensabili se si vuole comporre a livelli medio/alti.
 
Però di certo il conservatorio non forma su molte cose: sull’improvvisazione, sulle scale modali, sulle progressioni blues o jazz, men che meno sul fingerpicking anni ’60 e sulle tecniche percussive-tapping contemporanee. Tutte queste cose ho cercato di studiarle da me, cercando su libri e su internet (e sicuramente ho ancora molto da imparare).
 
Non solo, ma quando c’è l’idea embrionale del pezzo, per portarlo avanti c’è un enorme lavoro di studio sull’armonia, sulla ricerca delle note giuste per quell’idea e sulla dinamica. E infine, una volta decise le note giuste, c’è la “sfacchinata” dello studio a metronomo, partendo molto lentamente, per arrivare gradualmente e lentamente alla velocità di esecuzione. Per fare un esempio,
 
La Danza Infernale, se penso al giorno in cui mi venne l’illuminazione, al momento in cui ero capace di suonarla bene, a tempo, con le giuste dinamiche, ecc… credo che come minimo sia passato un anno, se non di più.
 

Gionata Prinzo su MIE Vol. 14, la playlist di Febbraio firmata Musica Italiana Emergente

 

Dall’inizio di questa tua seconda e più consona vita, stilisticamente parlando, dove sei riuscito a farti sentire e quali sono stati i risconti?

Ho avuto l’opportunitá di fare alcune serate, specie tra Livorno e Pisa. E devo dire che c’è sempre un ottimo riscontro di pubblico, perchè la gente vede finalmente qualcosa di diverso dalla solita tribute band.
 
Molti organizzatori rimangono scettici per la musica strumentale, ma posso garantire che sbagliano: vedere un chitarrista live che fa sentire delle belle musiche, di ritmo, con le percussioni e con le tecniche percussive tapping, che sono “strampalate” e di notevole impatto visivo, è sicuramente una boccata d’aria fresca per il pubblico. Poi ovviamente non mi mancano anche le cover strumentali di musiche famose, e lì vedere il pubblico che canta all’unisono con la chitarra, non ha prezzo.
 
Non solo, ma i due video estratti da Industrial Fingerstyle (La Danza Infernale e A Night in Montreal) stanno avendo un buon andamento di visualizzazioni, soprattutto il secondo.
 

La Danza Infernale – Video ufficiale

 

Hai già preparato qualcosa per questo 2020?

Sto iniziando a pensare al terzo video estratto, e sto cercando di trovare serate anche un po’ fuori dalla toscana, magari in qualche palco più importante.

Ho anche molti inediti in cantiere, c’è sicuramente materiale per un nuovo album, ma per quello bisognerà aspettare ancora un po’.

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