Una via di scampo esiste: si chiama Andrea Amati
Il “Capitano” Andrea Amati ritorna, sabato 22 febbraio, sul palco del Caffè Centrale con il suo primo album Via di Scampo. Segnali di un cantautorato romagnolo, vivo e vegeto.
Parlare con Andrea, e non lo scopro certo in questo caldo e strano sabato sera romagnolo di febbraio, fa bene. Quando si muove non fa rumore, è leggero, aggraziato, una di quelle persone che non immagini inciampare.
Sul palco sa catturare elegantemente, senza strafare, con le sue movenze e la sua voce bassa e pulita. Cantautore dalla testa ai piedi.
Era da tempo che aspettavamo l’uscita del suo primo lavoro, presentato in anteprima il 21 dicembre a Riccione: “Via di Scampo”, album quasi integralmente autobiografico. La sua vita artistica parte avvolta dall’ombra di due maestri della musica d’autore italiana: Fabrizio De Andrè e Luigi Tenco. Ed è da questi due nomi che inizia la mia intervista.
Chi ti ha avvicinato a un genere di musica impegnata e cantautorale?
Sono stati i miei genitori, involontariamente. A casa mia si è sempre ascoltata tanta musica. Sono praticamente nato tra i dischi e da bambino mi addormentavo con gli U2.
E De Andrè da dove è sbucato?
Mentre stavo studiando teatro. In età tardo adolescenziale volevo fare l’attore.
Poi il remake di Morgan di Non al denaro non all’amore né al cielo mi ha portato definitivamente a De Andrè. Un album che mi ha folgorato, impossibile far finta di niente. E così, mi è venuta voglia di omaggiarlo con una tribute band, un modo per dirgli grazie, perchè mi ha cambiato la vita.
E Tenco invece?
E’ stata una cosa più meccanica, siccome mi venne commissionato uno spettacolo dedicato a lui. Poi mi dicevano che gli assomigliavo fisicamente, e forse un pò hanno ragione, la mia parte alta del viso lo ricorda.
Ti hanno affibbiato l’etichetta di cantautore d’assalto.
Chi è stato? E come mai?
Guarda non mi ricordo proprio, è una cosa di anni fa.
Quando leggo la parola “assalto” penso a qualcuno che protesta, alla guerra e mi si staglia davanti un immaginario politico.
Posso dirti che per me l’amore è un assalto. Un testo d’amore può essere politico e qualsiasi rapporto sociale passa proprio attraverso l’amore.
Sono due mondi apparentemente lontani. Parlare in una pezzo dell’ultimo scandalo che passa il tg non è certo più politico di quanto possa esserlo una canzone d’amore. Ovviamente non parlo d’amore per una scelta politica e normalmente non tratto di discorsi ampi a livello sociale.
Preferisco andare in profondità sul singolo personaggio.
Dove vedi l’amore in questo momento così caotico e pieno di notizie terribili?
Non certamente sui giornali, ma nella vita di tutti i giorni, nei gesti.
“La rivoluzione è un gesto quotidiano...” parole a cui sono molto legato, presenti nel pezzoLa Primavera. Un principio politico in cui credo. Inoltre è una frase che tanti politici nella storia hanno utilizzato. Ognuno può interpretarle come vuole, e questa è la grande magia delle parole. Una canzone non è mai esclusivamente di chi la scrive.
Camicia messicana nera alla Dylan, con righine rosse che contornano il bavero, sguardo dubbioso e cauto, puntato su chi sta guardando l’immagine di copertina dell’album (le foto, notevoli, sono state scattate da Fabio Bonvicini). Perchè Via di scampo?
Via di Scampo e non del Campo, in molti se lo sono chiesto e ti dico che non c’è nessuna assonanza volontaria.
Oltretutto non è neanche un titolo scelto da me, ma da una persona importante con cui ho passato parecchio tempo; io volevo chiamarlo La felicità non è uno scherzo. Troppo complicato e infatti me l’hanno bocciato. Via di Scampo suona benissimo, un vero e proprio slogan.
Scampare da cosa?
Dal dolore e dalla rassegnazione. Il titolo rappresenta esattamente il mio modo di approciarmi alla musica. Canto del dolore, perchè credo nella felicità.
I miei pezzi sono un percorso, dove il punto di partenza è spesso negativo, un sentimento quasi leopardiano. Anche se, in fondo alla strada, una luce la vedo.
L’album è davvero bello e registrato magistralmente.
Dietro tutto si nasconde Christian Bonato, il sesto elemento della Band, di cui mi fido ciecamente. Con lui registrai anche il demo. Inoltre ci segue dal vivo come fonico.
Come lavori con la Band?
I musicisti che lavorano con me non sono turnisti, ma parte attiva e costruttiva del progetto, persone che ho scelto.
Un metodo vero e proprio non c’è e quasi tutto nasce da me e Federico (Mecozzi, polistrumentista in forza anche al maestro Ludovico Einaudi). Ci incontriamo anche se non abbiamo roba pronta e spesso improvvisiamo.
Da lì nasce una bozza, fermiamo l’idea di base e ci lavoriamo sopra insieme alla Band. Altro metodo: arrivo io con dei testi e cominciamo a girargli intorno.
Mi interessa approfondire il tuo rapporto ai testi. Mentre scrivi pensi già ad una melodia da accompagnare alle parole?
Sì, penso già ad una canzone. Sono uno da “buona la prima” e faccio molta fatica a modificarli. Piuttosto metto da parte e ne scrivo altri.
Qualche pezzo non è entrato nel disco proprio perchè non sono riuscito a migliorare il testo. Inoltre sono uno che scrive solo quando sente l’esigenza, vado a raptus. Inizio e chiudo il pezzo. Ligabue racconta che ogni giorno butta giù qualcosa, e forse è giusto così, diventa un mestiere. Io faccio fatica, anche se ultimamente mi applico.
Esigenza dettate da episodi negativi o positivi?
Quasi sempre negativi. Uno, se è totalmente felice, esce a farsi una bevuta con gli amici o con la ragazza, piuttosto che chiudersi in una stanza.
Jovanotti, che non riesco ad ascoltare facilmente, scrive quasi esclusivamente di situazioni felici, davvero difficile.
Lo trovo inconcepibile anche se un po’ lo invidio, perchè si fa colpo sulle ragazze più facilmente (ride). Il pezzo più felice che ho è La Primavera, scritto in un momento di depressione totale. Figurati! Quando sono troppo felice mi preoccupo e mi dico: “Adesso non riesco a trovare nulla”
Calvario D’estate diventerà il primo videoclip di Via di Scampo ed anche il primo della tua carriera. Cosa vedremo?
Il video è ispirato alle opere di Georges Méliès. Molto particolare, dove saranno presenti tanti Andrea Amati. Ho avuto la fortuna di lavorare con un team fantastico.
“Sono mesi di sandali e di scarpe rosse / andate e ritorni traumatici /questa estate è il mio calvario…” Quanto ci puoi raccontare di queste parole? Sono curioso.
Guarda (Mi mostra una foto sul cellulare), questi sono i sandali e le scarpe rosse originali. Preferisco non soffermarmi su questa vicenda. Altra domanda!
L’album è dedicato a Francesca. Chi è questa donna misteriosa?
Dai te lo dico: è la persona che ha scelto il titolo. Mi conosce bene, da quando scrivo, ed è davvero importante per me. Una dedica dovuta.
Ne La Ragazza e i Ghiacciai c’è una frase molto poetica e spietata: Il destino di chi ama è di morire in Croce.
E’ proprio così, direi che c’è poco da aggiungere.
Dopo aver scritto il verso “se ridi sai far sciogliere i ghiacciai” mi è venuto in mente un titolo da dargli grazie a De Gregori. Avevo ascoltato pochi giorni prima la sua “La Ragazza e la Miniera”
La canzone a cui sei più legato?
La Resistenza, il mio manifesto: una resistenza intima.
E’ il pezzo simbolo del disco. Ma anche La Primavera, che è la prima che ho scritto.
Nella canzone Mio Nonno è presente la figura di “Capitano”, a cui qualcuno si rivolge per avere delle risposte. Chi è?
“Capitano” sono io.
Vengo chiamato così dagli amici, da sempre. Durante la data di presentazione del disco, lo scorso 21 dicembre, mi hanno lasciato una fascia da capitano sul palco con tutte le loro firme. L’ho posizionato sul leggio, ed è stato molto emozionante riceverlo. Ormai sono diventato “il Capitano” anche per il pubblico.
Parliamo del brano Santarcangelo 16.07.13.
Santarcangelo è un pezzo estremamente struggente e personale.
Proprio il 16 luglio decisi che il pezzo sarebbe finito nel mio primo disco.
I territori, come le stagioni, nei miei pezzi sono sempre presenti, fin dai tempi del mio primo demo chiamato appunto Santarcangelo.
Il fatto è che scrivo quasi sempre quando mi muovo: vengo travolto e suggestionato dal luogo in cui mi trovo e dall’aria che si respira.
Una domanda che mi capita spesso di fare agli artisti che passano da Live&More, riguarda il loro rapporto con la provincia. Tu come la vivi? Com’è essere un cantautore di Santarcangelo?
Provo un amore sporpositato per la mia città, davvero, anche se non mi fanno mai suonare, nemo propheta in patria.
La mia intenzione ovviamente è di non fermarmi in provincia.
Voglio che la mia musica abbia ben chiaro il suo punto di partenza, ma che guardi ad una direzione nuova. Una musica che includa sempre leggerezza, quella buona, e che sappia farsi ascoltare. Non mi basta un pubblico che ascolta i miei testi: chi viene a vedermi deve batterlo quel piedino.
So che è presuntuoso, ma io sono molto presuntuoso!
Sei molto sicuro di te e questo non potrà che avvicinarti sempre di più al tuo sogno. Vuoi dirci qual è?
Quello di continuare a cantare di me, e di non perdere la sincerità che metto dentro i miei dischi, che pare sia apprezzata.
Signore e Signori Andrea Amati.
Data da non perdere a Live&More.
Giovanni Bagnari