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"Al basso e nel cuore, per sempre, Angelo Nacca": il ricordo di STEFANO FERRO

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Al basso e nel cuore, per sempre, Angelo Nacca  
Nell’espressione che ti portavi appresso le tue doti di attore facevano a pugni con la timidezza che le teneva a freno, ti avevo detto tante volte che avresti dovuto provare a fare del teatro, ma forse tu un teatrante ti sentivi già, allenato dal lavoro e dalla vita a mascherare, accondiscendere, mettere in tasca i sentimenti pur di riuscire a farti restare a galla con il salvagente dei tuoi sogni così uguali ai miei. Non ho mai capito come diavolo riuscissi a suonare senza un testo, senza un riferimento, semplicemente guardando le posizioni degli accordi delle mie mani sulla chitarra, ti ho sempre invidiato questo tuo modo di essere musicista, io che per paura di dimenticarmeli gli accordi me li scrivevo sul testo come un boy scout.
 
Quella malinconia che avevi negli occhi non ti è mai sparita, non era difficile leggere nel libro del tuo sguardo che invano tentavi di mascherare con un’ironia da istrione. Sei sempre stato il primo a cui telefonavo perché inconsciamente sapevo che saresti stato pronto ad appoggiarmi e a discutere sul da farsi, e questo mi ha sempre profondamente rassicurato. Avevi iniziato a sviluppare il sesto senso dei direttori artistici, discutevi sulla scaletta da proporre, sugli arrangiamenti, sull’interpretazione dei brani e su tutto quello che esulava dal semplice suonare ma che con la musica intratteneva rapporti più che vitali. Gli strumenti nella tua macchina ce li facevamo stare sempre, giocando a incastrarli fra le attese e le speranze che riempivano i pochi spazi vuoti del bagagliaio stipato, e che pure da immateriali pesavano più di quanto ci portavamo appresso. Fumavamo complici tu ed io, poco prima di salire sul palco, nervosamente senza dirci nulla che era un po’ come raccontarci tutto. Quando poi salivamo sentivo il suono del tuo basso sotto ai piedi e la corposità delle note mi accompagnava canzone dopo canzone.
 
Quando mi capitava di sbagliare un accordo per l’emozione, c’erano le tue mani che intuivano al volo e riparavano, nascondendo con una nota all’istante ogni mia indecisione. Se abbiamo suonato bene il merito è tuo, che facevi sempre da perno e orientavi tutti quanti, quasi come un direttore d’orchestra nascosto da un amplificatore, che spesso impreziosivi nelle sere d’estate appoggiandovi una birra sopra.
 

Ora che non ci sei più, la musica si sporca di una nebbia grigia e pesante che si deposita sulle custodie degli strumenti e attorno al cuore, le parole si fermano in mezzo alla gola e rimangono a guardare impigliate fra le corde della chitarra e quelle del tuo basso che ho qui, accanto a me. Rivedo tutti quei chilometri scanditi dagli autogrill e dai caffè, risuonano confuse le battute e i commenti, gli sguardi, le bestemmie e le goliardate mentre nei nostri timidi cuori avvertivamo la solita speranza di portare a casa un’altra soddisfazione, assieme alle nostre gambe e alle nostre mani che rincasavano sempre incolumi, quasi protette per migliaia di incognite che seguivano le nostre vite come cani senza collare.
 
Ho appeso la chitarra di fianco al tuo basso, mi piace pensare che il loro dialogo continui con i suoni della musica, che trovano la strada per librarsi in una matematica armonia molto più bella di quella che riesce ai caratteri degli uomini. Non è nel mio cuore l’illogica frenesia di uno spettacolo che continua, il sipario l’ho calato ma resterò sempre in attesa di un tuo segnale dentro di me, spero soltanto di farmi trovare pronto, sopra un treno non troppo arrugginito, non importa dove mi porterà, tanto so che guidi tu e che mi devo fidare.
 
di Stefano Ferro

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