fbpx

Musica Italiana Emergente

Portale d'informazione dedicato alla musica italiana emergente

MIE intervista i DEAD BOUQUET

Sharing is caring!

Abbiamo scambiato quattro chiacchiere con Carlo Mazzoli e Daniele Toti, rispettivamente cantante/chitarrista e bassista dei Dead Bouquet, trio folk rock (ma attenti, non amano particolarmente le etichette..) della Capitale, reduci da un tour in Svizzera e Francia per promuovere il loro (splendido) debutto discografico “As Far As I Know”.

Partiamo dal nome: Dead Bouquet. Mmh, avverto una certa assenza di romanticismo (magari mi sbaglio), eppure l’amore non manca nel disco, ascoltando canzoni come A Night on The Red Sofa. Da cosa nasce l’idea? Non ci nascondiamo, l’abbiamo preso dal testo di Fuzzy, una bellissima canzone dei Grant Lee Buffalo, band di assoluto riferimento per noi. Abbiamo pensato a mille nomi, ma Dead Bouquet è quello che ci ha ispirato di più… ha quel sapore ottocentesco, al contrario, lo troviamo piuttosto carico di Romanticismo! Si sposa bene con il carattere sognante della band. Hai ragione, nei testi si parla molto d’amore… As Far As I Know, A Night On A Red Sofa e Sur La Garonne sono canzoni molto importanti nel nostro repertorio.

Sempre a proposito di nomi: al vostro disco d’esordio As Far As I Know hanno collaborato e contribuito il produttore Paul Kimble, già bassista dei mitici Grant Lee Buffalo e il mastering engineer Joe Gastwirt (Bod Dylan, Jimi Hendrix, The Beach Boys e molti altri giganti del rock..). Come sono avvenuti questi due illustri incontri? In quale modo siete arrivati a collaborare con entrambi? L’incontro con queste due grandi persone ha percorsi differenti. Con Paul tutto è iniziato con uno scambio di battute via web con Carlo, con un “sarebbe bello che tu ascoltassi la mia band”… e così ha ascoltato un vecchio demo. Paul, colpito dal progetto e dall’Italia che adora, ha accettato il ruolo di produttore artistico e polistrumentista e così ci siamo subito messi a lavoro per far sì che il sogno di incidere il disco d’esordio con lui diventasse realtà. Con Joe invece tutto è stato più immediato, una grandissima persona che non ti fa pesare il suo nome e ha trattato noi come se fosse stato un grande del rock americano a chiamare. Sapere che al nostro disco ha lavorato la stessa persona che ha contribuito in maniera importante ai dischi di Jerry Garcia, Neil Young e Bob Dylan (giusto per citarne alcuni) ti fa tremare le gambe; in più ricevere i suoi complimenti e sapere che è fan della tua musica…impagabile

Ma l’apporto di Kimble è stato più determinante sul piano della costruzione dei suoni o per quello che concerne gli arrangiamenti del LP? Bisogna dire che avevamo particolarmente chiare le nostre idee su come volevamo suonasse il disco, Paul non ha cambiato quasi nulla degli arrangiamenti dei brani… solamente un paio di consigli su alcune tracce, consigli che poi le hanno esaltate. Ad esempio, su My Baby and I, la batteria aveva un tempo più incalzante e così lui ha semplicemente detto al batterista: “suonala come se fossi una drum-machine, devi essere una drum-machine”, mimando il tempo… ed ecco fatto! Sicuramente la differenza l’hanno anche fatta i cori stratosferici che Paul ha inciso su alcuni brani.

Avete avuto perfino l’opportunità di condividere il palco con lui….. Sì, il feeling che si era creato è stato tale che abbiamo organizzato “al volo”, come si dice a Roma, un concerto con lui al basso slide, cori e tastiere. Paul ha un orecchio fuori dal normale, sono bastate un paio d’ore di prove per prepararci ed abbiamo suonato tutto il disco più qualche brano dei GLB… una serata memorabile.

…Molte band che mi capita di ascoltare non riescono a fare quel salto di qualità proprio perché non si affidano ad un produttore artistico, certi di poter fare tutto da soli…Cosa ne pensate al riguardo? Bella domanda… beh, pensiamo che per fare un salto di qualità (soprattutto nella musica Rock) c’è bisogno di un produttore artistico che esalti quello che c’è di buono nelle idee di una band. Non significa privarsi della propria identità musicale costruendone un’altra, ma appunto “scegliere” con attenzione un produttore e affidarsi agli eventuali consigli che può darti. Lo sbaglio è proprio pensare di sapere tutto e di non avere l’umiltà di imparare qualcosa in più.

Ci parlate della vostra strumentazione? Della serie “ dimmi che ampli hai e ti diro chi sei…” Una sola chitarra e sempre la stessa. Una 12 corde acustica attraverso un Fender Super Reverb. Sarebbe stato un peccato veder finire questa grande intuizione di quel geniaccio di Grant-Lee Phillips nel dimenticatoio…Daniele invece, suona sempre il suo fidato Fender Precision, grande protagonista in “As Far As I Know”.

As Far As I Know è un album di ben 13 tracce; piuttosto in controtendenza con gli ep e i dischi con pochi brani che le band, specie quelle emergenti, pubblicano solitamente da alcuni anni….. Avevamo l’esigenza di fare un disco “lungo” sicuramente contro quella che viene definita normalità, per un disco di una band emergente. Le cose da dire erano molte e non potevamo andare contro noi stessi.. come raccontare una storia a metà.

Appartenete alla schiera dei musicisti istintivi o degli iper-razionali? In noi ci sono tutte e due le qualità, possiamo dire che la musica dei Dead Bouquet è istintiva e immediata, ma nasconde strati più profondi che portano a riflettere.

Più in generale, qual’è il metodo compositivo standard dei Dead Bouquet, se un metodo esiste….? Non esiste un metodo. Carlo porta in sala prove una canzone solo quando la sente veramente autentica, veramente viva. Dopodiché cerchiamo di trovare tutti l’atmosfera giusta, suonando tutti insieme… e così via.

Quali sono le band a cui vi ispirate maggiormente? Avete ascoltato qualche artista in particolare durante la lavorazione a As Far As I Know? I Grant Lee Buffalo sono per forza di cose un’influenza primaria. Altri artisti di riferimento sono Neil Young, Gordon Lightfoot, David Bowie, The Waterboys, Brian Eno, Thin White Rope, ma anche il folk e il blues rurale del secolo scorso…Durante le sessioni di As Far As I Know abbiamo ascoltato poco musica… non ce n’è stato tempo. Una sera al bancone del The Spot di Marino (il nostro locale preferito di Roma e dintorni) abbiamo ascoltato “Scott 4” di Scott Walker e un “The Best of” di Gordon Lightfoot con Paul… ascolti che abbiamo in comune con lui.

Fondamentalmente cosa significa essere indipendenti nel 2014? Creare la musica per la quale si vive, senza pensare alle cose che circolano freneticamente nel web. Cosa che riescono in pochi. Noi, ad esempio, ci siamo riusciti. Molte etichette indipendenti ormai ragionano come le major… facendosi però chiamare “indie”. E’ assurdo, non trovi? Indie non significa nulla, non è un valore aggiunto, soprattutto in termini musicali.

In questo mondo (e quello musicale non fa eccezione) sempre più social, connesso, omologato, e globalizzato, come si fa a differenziarsi? Quale è il segno distintivo dei Dead Bouquet? Devi essere per forza connesso e al passo con tutto questo… se non gli stiamo molto dietro è perché siamo più analogici. Il nostro segno di distinzione rimane sempre la musica, viaggiare con la mente e applicare le nostre immagini al suono delle note.

Dove possiamo rimanere aggiornati sulle novità dei Dead Bouquet sul web? La nostra pagina Facebook viene continuamente aggiornata. Per il momento è il nostro “sito ufficiale”!

Cosa ci sarà nel futuro dei Dead Bouquet? Stiamo promuovendo il disco attualmente, vogliamo suonare in Italia e in Europa il più possibile e in cantiere c’è già il secondo disco. Ci piacerebbe inciderlo con Paul Kimble.

Farete un nuovo video? Sapete darci qualche anticipazione? Anticipazioni ancora no, ma ci piacerebbe realizzare il secondo video a breve… magari proprio di A Night On A Red Sofa, chissà!

La redazione di MIE
Copy Protected by Tech Tips's CopyProtect Wordpress Blogs.